Scuola etnica o scuola inclusiva?

Scuola etnica o scuola inclusiva?

Puntuali come la fioritura primaverile dei meli, sicuro anticipo di un ricco raccolto nell’autunno elettorale, sbocciano nelle valli altoatesine le polemiche sulla presunta turbativa causata alle lezioni da alunni che non conoscono a sufficienza la lingua di insegnamento della propria scuola.

Comprendiamo, ovviamente, la legittima aspirazione dei gruppi linguistici all’autonomia culturale e alla tutela della lingua madre, che parte dalla scuola, e non sottovalutiamo lo storico timore delle minoranze nei confronti dell’assimilazione.
A chi fomenta gli allarmismi, poniamo però una domanda: siete veramente sicuri che l’apprendimento della madre lingua e la formazione culturale possano essere assicurate solo da una scuola etnicamente omogenea, che escluda o lasci in anticamera i diversi? Non è arrivato per tutti il momento di prendere atto che un simile modello di scuola sarebbe non solo anacronistico, ma probabilmente, addirittura controproducente?
La realtà altoatesina del XXI secolo ci pone di fronte a ben altre sfide.

Se, come recita la nostra Costituzione, “la scuola è aperta a tutti”, il sistema deve farsi carico anche dei bambini o dei ragazzi che a tre, sei, undici o quattordici anni arrivino nelle nostre scuole senza conoscere né l’italiano né il tedesco, perché parlano soltanto urdu, cinese, slovacco o wolof – giusto per citare quattro lingue che sentiamo di sovente sugli autobus e per le vie..

L’esperienza concreta di tante scuole tedesche ed italiane ci indica che insegnare e imparare le lingue è una questione di pedagogia e didattica. È il mestiere degli insegnanti. Nelle nostre scuole esperienze e professionalità in merito ci sono, e non riguardano soltanto gli insegnanti di Seconda lingua: pensiamo agli insegnanti di sostegno linguistico in tedesco e in italiano; pensiamo ai progetti CLIL, alle compresenze di insegnanti di lingua diversa, agli scambi di insegnanti e studenti
Sappiamo, per averlo provato, che insegnare ad alunni in una lingua che non conoscono è una cosa niente affatto banale. Si tratta di una sfida non da poco, per il personale, per gli interessati e per il resto delle classi.
Se in qualche istituto, quartiere o comune vi sono più scolari bisognosi di questo sostegno, si dovranno adattare le risorse al bisogno: chiediamo dunque con forza che si assumano altri insegnanti, e si diano più strumenti e ausili alle scuole interessate. Siamo convinti che le scuole siano già fortemente impegnate su questi temi e che dalla politica si attendano i necessari sostegni, non proclami o addirittura scomuniche
.

A monte e più in generale, ci chiediamo però se i fondamenti del nostro sistema scolastico, stabiliti nel 1946 e riconfermati dal 1972, siano all’altezza dell’attuale situazione. Abbiamo una scuola territoriale multilingue limitata alle valli ladine e due scuole di lingua diversa, concorrenti, nella maggior parte del territorio.
Come conciliare questo sistema con le nuove sfide, con la diffusa richiesta di multilinguismo, con le migrazioni? Quanto a lungo si potrà ancora vietare una scuola pubblica territoriale e non etnica? una scuola europea, una scuola ladina fuori delle Valli, una scuola bilingue paritaria?

Non vorremmo che la legittima richiesta di multilinguismo fosse accolta solo dai privati.
Un poscritto.

Si discute anche della lingua con cui gli insegnanti possano, debbano, o non debbano comunicare con le famiglie. Ci sembra un dibattito stantio, superato dai fatti. La scuola mette in cantiere ogni strategia per comunicare: conosciamo colleghi che tengono udienza in inglese, mentre un compaesano dei genitori ne traduce le parole in bengali o in pashtun.
Come sindacato degli insegnanti ricordiamo comunque che non esiste nella scuola altoatesina un obbligo di bilinguismo (fanno eccezione gli insegnanti di seconda lingua, e la scuola ladina obbligata al trilinguismo). Se un insegnante è monolingue, nulla quaestio: parlerà con i genitori nella propria madrelingua. Non può fare altro e non è tenuto ad altro.

Tuttavia il nostro contratto remunera con una speciale indennità gli insegnanti che abbiano conseguito il patentino di bilinguismo. Abbiamo sempre difeso questo principio.
Mettiamo quindi in guardia i nostri dirigenti dal vietare l’uso della seconda lingua nelle udienze con le famiglie.Chissà che cosa penserebbe la Corte dei Conti di un provvedimento che (allo specifico scopo di… peggiorare la comunicazione tra scuola e famiglie) vietasse al personale insegnante di usare la seconda lingua per la cui conoscenza è specificamente remunerato.